Lo spazio a cielo aperto tra il complesso monastico, il portico e il lato Sud della basilica venne interessato, soprattutto nel corso dell’VIII secolo, dalle attività dei cantieri destinati alla costruzione degli stessi edifici. Tracce significative di tali attività si sono riconosciute nei numerosi bacini per la miscelazione della malta (solo alcuni dei quali ancora visibili), il legante utilizzato per l’assemblamento delle opere murarie e composto, secondo la tradizione costruttiva romana, dalla sapiente aggregazione di calce, pozzolana e inerti. L’impasto era lavorato sia in fosse circolari nel terreno, sia in vasche quadrangolari contornate da intelaiature lignee, del tipo documentato anche in molte raffigurazioni medievali, addossate al muro esterno del monastero; un analogo miscelatore, all’interno del portico, era munito di un dispositivo di sollevamento. Al ciclo di lavorazione della calce, comunemente ottenuta dalla cottura dei marmi, si può riferire anche la presenza di due fusti di colonna di recupero con tracce di martellatura, abbandonati sul terreno.
Il reimpiego generalizzato di materiali antichi – marmi, travertini, tufi, mattoni – caratterizza in modo marcato le strutture altomedievali, che dispongono nei paramenti pezzi di svariate dimensioni, caratteristiche e provenienza, spesso lavorati.
L’uso dell’area come spazio di lavorazione edilizia si protrasse per tutto il medioevo e fino alla fase di ricostruzione del monastero promossa da Ludovico Barbo nel XV secolo. A questa va ascritta la calcara “a fossa” recuperata durante lo scavo.
1. Costituiscono un nucleo edilizio unitario un’ampia sala di 10 x 14 m, un vano di analoga larghezza a Sud, che si estende oltre i limiti dell’area allestita, e un ambiente stretto e lungo, del quale pure non si è rintracciata la terminazione meridionale.
La generale configurazione degli ambienti ne fa supporre l’uso come spazi collettivi e stabilire una logica connessione con le comunità monastiche, una femminile (Santo Stefano) e una maschile (San Cesario), attestate presso il santuario paolino dal pontificato di Gregorio Magno (590-604). Le strutture portate alla luce, databili con sicurezza nei primi decenni dell’VIII secolo, sono però pertinenti ad una fase successiva del monastero, forse da inquadrare nel programma di rilancio, dopo un periodo di crisi, con la fusione dei due cenobi in un unico maschile, che le fonti scritte (il Liber pontificalis e il Liber diurnus) attribuiscono a papa Gregorio II (715-731).
Del monastero altomedievale gli ambienti scoperti rappresentano un settore marginale, forse di servizio e legato, si può pensare, all’accoglienza di poveri e pellegrini. E’ significativo che uno degli ambienti sia dotato di un pozzo, alimentato da una falda freatica, che riutilizza, in alto, la parte superiore di un grande recipiente (dolio) con bollo della prima età imperiale sull’imboccatura.
I nuclei principali del complesso vanno di certo ipotizzati a Est, in parte anche sotto l’attuale Abbazia, che del monastero più antico costituì con molta probabilità la progressiva contrazione architettonica in rapporto ai numerosi momenti di incuria e di abbandono documentati dall’XI al XIV secolo.
2. L’area archeologica contiene parzialmente una più lunga costruzione porticata, di cui è garantita la prosecuzione a Sud e a Nord, fino all’originario atrio della basilica, nel punto in cui alcune vedute moderne visualizzano un passaggio tamponato. Nella struttura si distinguono con chiarezza due fasi edilizie: la seconda, forse in seguito al crollo di una parte del tetto, conservando il muro di fondo già esistente, vide il leggero rialzamento (ca. 30cm) del piano di appoggio delle colonne (stilobate).
Le tecniche murarie e i reperti riferibili alle fasi di costruzione e di frequentazione datano l’impianto del porticato entro la metà dell’VIII secolo, forse opera del papa Gregorio II (715-731) o del successore Gregorio III (731-741), promotori di lavori a San Paolo, e la risistemazione nei decenni finali dello stesso secolo, nell’ambito del programma edilizio di Adriano I (772-795).
La struttura colonnata costituiva un monumentale passaggio coperto da e verso Sud per i frequentatori della basilica; essa si deve considerare il prolungamento altomedievale della lunga porticus tardoantica descritta per la prima volta dallo storico Procopio di Cesarea nella prima metà del VI secolo, ma predisposta forse già con la basilica “dei tre imperatori” e analoga a quella che segnava il percorso dei pellegrini a San Pietro e a San Lorenzo. Al suo lato esterno occidentale si addossarono progressivamente, fino agli inizi del X secolo, alcuni edifici solo parzialmente scoperti, nei quali si possono forse riconoscere strutture abitative come quelle ben documentate lungo la porticus del Vaticano. D’altra parte la costruzione delle mura per volere del papa Giovanni VIII (872-882) e la nascita della “Giovannipoli” avevano reso il luogo più sicuro e ambito.
3. Negli ultimi decenni dell’VIII secolo un articolato complesso di costruzioni venne interposto tra il portico e il monastero, raccordandosi con probabilità direttamente al fianco della basilica, di cui una serie di vani, appena individuati sul limite Nord dell’area di scavo, costituivano ambienti con funzioni accessorie. Sul fronte meridionale un portico a pilastri, trasversale e addossato al precedente, ampliava la disponibilità di spazi coperti per i frequentatori del santuario, mentre nella piccola struttura quadrangolare a Est, con profilo continuo, senza accessi nella parte inferiore conservata, è stata riconosciuta una torre campanaria, unica sopravvivenza a Roma dei primi campanili, di proporzioni più ridotte dei successivi tardo medievali.
L’attribuzione di questi edifici all’attività edilizia, intensa anche a San Paolo, di Adriano I (772-795), il papa definito dal biografo del Liber pontificalis “amator ecclesiarum Dei”, è molto probabile, sia per i caratteri della tecnica muraria, analoga alle costruzioni del periodo a Roma e nel suburbio, sia per la scoperta di un frammento di tegola bollata con il monogramma del papa.